Archivi tag: E. L. James

I pirati del terzo millennio

Immagino che tutti conoscano Capitan Jack Sparrow, magnetico e stravagante protagonista della saga de I pirati dei Caraibi della Disney. Dimenticatelo, perché nel 2013 la parola pirati ricorda quelli somali e quelli digitali. A differenza dei primi – equipaggiati di fucili d’assalto e, più spesso, di armi improvvisate – i pirati digitali annoverano tra le loro file l’umanità più varia, a partire da adolescenti che vestono ancora Hello Kitty, dormono col peluche dell’infanzia e infestano Ask.fm con il loro gergo da istant message (e magari sono anche beliebers o directioners). Se il nemico giurato del grazioso collo lercio di Sparrow è la Corona Britannica, quello degli scaricatori compulsivi e illegali sono gli artisti e gli editori, non di certo la polizia postale.

La pirateria è un fenomeno diffuso non solo nel campo editoriale – basti pensare all’industria discografica – ma è proprio dello scaricamento illegale di libri di cui parlerò oggi. La pirateria è un sintomo, la spia che ci rivela che un cambiamento di paradigma è in corso. Non si tratta solamente di condannare questa prassi ormai consolidata, ma scoprirne le cause intrinseche e cercare di sfruttare il fenomeno a proprio vantaggio, essendo al momento impossibile da debellare. Attenuarne i disagi, ecco il diktat che bisognerebbe seguire, lamentarsene serve a poco.

La pirateria digitale ha subito un sensibile incremento a seguito della massiccia diffusione di e-reader e tablet, supporti ideali per la lettura di e-book che appena qualche anno fa rasentava livelli assolutamente trascurabili in Italia. Le politiche degli editori italiani, però, hanno contribuito all’inasprimento del fenomeno dei download illegali rendendo disponibile un catalogo più vasto di libri digitali a un prezzo proibitivo che, sovente, supera anche i dieci euro. Ciò ha consolidato l’abitudine a usufruire degli e-book piratati piuttosto che l’acquisto attraverso Bookrepublic e altre piattaforme dedicate. In particolare gli editori tradizionali, che si assicurano i maggiori ricavi dall’edizione cartacea (a differenza dei nativi digitali), dovrebbero pubblicare gli e-book a prezzi più accessibili che non superino i quattro euro, giacché le spese per editing, traduzione, correzione, grafica sono ampiamente già coperti dai ricavi del cartaceo.

Le case editrici hanno peccato di scarsa lungimiranza anche nel trattare con il digitale: non hanno saputo adeguarsi alle nuove esigenze e ai cambiamenti in atto, hanno investito sul breve periodo ricercando affannosamente nuovi bestseller – a discapito dei longseller. Le major si sono impegnate per la pubblicazione di numerosissimi romanzi di scarsa qualità, da una parte abituando una fascia di lettori alla mediocrità e dall’altra precludendo a romanzi più meritevoli – anche stranieri – di venir pubblicati. Si distinguono in questo panorama una manciata di editori indipendenti che hanno cercato anche in pochi anni di fidelizzare il lettore attraverso una linea editoriale precisa e studiata, volta alla pubblicazione di testi ritenuti di qualità che potessero fidelizzare una fascia di lettori che permettesse loro la sopravvivenza.

I grandi successi editoriali hanno da sempre favorito, grazie ai loro lauti incassi, l’investimento in pubblicazioni di nicchia, che non avrebbero di certo potuto vendere centinaia di migliaia di copie. Ora invece, a causa anche di una pesantissima crisi libraria (nel primo semestre 2012 il Gruppo Mondadori aveva registrato un –67% che si è risolto in una percentuale positiva solo grazie alla trilogia erotica della James), gli editori preferiscono sempre più spesso la certezza degli epigoni, sebbene poi i risultati non siano neanche lentamente soddisfacenti come prospettato. Moltissimi lettori, quindi, preferiscono scaricare un romanzo e “testarlo”, piuttosto che comprarlo a scatola chiusa. Anche la narrativa di genere, soprattutto riguardante il fantastico, è stata inquinata da romanzi di scarsa qualità (da cui proviene l’equazione intrattenimento = pessima qualità), strategia che non ha pagato nel lungo periodo. In America i vampiri sono sulla cresta dell’onda fin dagli anni ‘90 grazie al successo di celebri saghe scritte da Laurell K. Hamilton e Anne Rice, solo per fare qualche esempio; in Italia il fenomeno è andato esaurendosi in circa un lustro, e attualmente subiamo i postumi del fenomeno con la pubblicazione di libri i cui diritti sono stati acquistati negli anni scorsi. Molti romanzi interessanti, però, sono rimasti ancora inediti, per la gioia dei lettori che possono leggere in lingua originale.

Le cause dell’aumento della pirateria sono dunque due: i prezzi proibitivi degli e-book, che talvolta sono anche superiori al prezzo del cartaceo scontato, e la disaffezione dei lettori per l’offerta libraria. Poco saggiamente, inoltre, le case editrici hanno cercato di risolvere il problema utilizzando il codice DRM (Digital Rights Management), che dovrebbe impedire la copia dell’e-book. Uso il condizionale perché in realtà la tecnologia DRM è totalmente inefficace, persino per chi non è un genio dell’informatica o il gemello non riconosciuto di Sheldon. Il DRM preclude la possibilità al lettore di poter leggere il libro acquistato su più dispositivi, e risulta una grande noia per chiunque acquisti legalmente. Chi ha fatto della pirateria il proprio hobby considera queste trovate delle divertenti facezie. A perderci, anche in questo caso, è il lettore, privato della stessa libertà che fornisce il cartaceo (che può essere letto in qualunque momento, in qualunque modo e anche prestato) che, nonostante sia il principale acquirente, non beneficia delle attenzioni degli editori.

Spesso si leggono le – legittime – lamentele degli scrittori. C’è un però. Sono inutili. I lettori che usufruiscono della pirateria non smetteranno di farlo perché qualcuno sui social network o sui blog spiegherà loro quanto tempo – e sofferenze di varia natura – hanno utilizzato per scrivere il loro romanzo. È ininfluente. Al lettore interessa la materia, l’intrattenimento. Il risultato, non il processo. Cercare di convincerli svelando il lato umano della scrittura è una perdita di tempo utile per fare altre cose, tipo imparare a fare la pizza, cosa che personalmente a me non è mai riuscita (come i muffin). La pirateria, invece, dovrebbe essere sfruttata, soprattutto dagli scrittori emergenti italiani.

La pirateria, infatti, permette al libro di circolare in modo massiccio attraverso una fascia amplissima di lettori che altrimenti, con i canali tradizionali (e lacunosi) della piccola editoria, sarebbe impossibile raggiungere. Il free download, anche se illegale, potrebbe essere convertito in un’ottima strategia di marketing (se ben utilizzato) che consentirebbe a uno sconosciuto di entrare nelle librerie virtuali di migliaia di utenti. Il pensiero secondo il quale una copia piratata è una copia in meno acquistata è una chimera. Il 90% dei pirati non avrebbero speso nemmeno 99 cent per i libri che scaricano illegalmente, e questo per vari motivi. Uno è sicuramente un motivo di tipo economico: non tutti i lettori compulsivi possono permettersi la spesa di tutti i libri che vorrebbero leggere, e da questo punto di vista il servizio bibliotecario non aiuta perché scarso e poco capillare. A questo si aggiunge il timore di spendere invano del denaro per un prodotto scadente. Si aggiungano, poi, i lettori che condividono l’idea di cultura libera fruibile a tutti; per loro il download gratuito è una presa di posizione ideologica (ma sono una minoranza).

Gli scrittori dovrebbero quindi puntare sul prodotto, sia dal punto di vista contenutistico che grafico. Il romanzo che propongono deve essere ammiccante, avere una sinossi accattivante e una copertina originale, ben fatta e costruita, non gli orrori che sembrano essere fatti da un bambino con Paint (che è la prassi, quasi). La grafica dovrebbe essere il biglietto da visita, perché anche dall’esteriorità il lettore capisce quanto impegno è stato profuso per la nascita di quel libro. In secondo luogo lo scrittore (e l’editore) dovrebbe puntare sullo scritto: presentare un’impaginazione ariosa, un testo senza errori che distolgano l’attenzione, una trama originale e una bella scrittura. Se il romanzo è meritevole, la pirateria potrebbe anche scatenare un circolo virtuoso non indifferente (non è inusuale il successivo acquisto del cartaceo o dell’e-book se soddisfatti della lettura), perché talvolta anche il lettore sa premiare gli sforzi e la qualità.

Contrassegnato da tag , , , , , , , , , , , , , , ,

Di sesso, amore e altri (pochi) rimedi: True Blood

A causa di un amico, m’è capitato di leggere su Ask.fm (di cui devo ancora cogliere il significato intrinseco, a parte un continuo show off) Io non faccio sesso, ma l’amore, l’antitesi dell’ormai celeberrimo I fuck hard di Christian Grey, il compagno di giochi di milioni di donne che ha scomodato anche i pompieri, e non per uno spogliarello. L’utente del social network è di sesso femminile, e come dubitarne. Solitamente è la donna che incarna l’ideale romantico della coppia, nonché la depositaria di un’allegoria universale che la personalizza da secoli. Scriveva Simone de Beauvoir:

Poiché in quanto Madre fu ridotta a serva, in quanto madre sarà amata e venerata. Dei due antichi volti della maternità, l’uomo d’oggi ne vuole conoscere uno solo, quello sorridente. Limitato nel tempo e nello spazio, con un corpo finito e una vita che deve spegnersi, l’uomo non è che un individuo imprigionato nel seno d’una natura e d’una storia che gli sono estranee. Limitata come lui, simile a lui, perché anch’essa abitata dallo spirito, la donna appartiene alla natura, è attraversata dalla corrente senza fine della vita; ha quindi il carattere di mediatrice tra l’individuo e il cosmo. Quando l’immagine della madre diviene rassicurante e santa, si capisce che l’uomo si volga a lei con amore. Sperduto nella natura, cerca di liberarsene; ma diviso da lei, aspira a ricongiungersi. Saldamente assista nella famiglia, nella società, in armonia con le leggi e i costumi, la madre è l’incarnazione del Bene: la natura cui partecipa diviene fausta, propizia; cessa d’essere nemica dello spirito.

Provate a sostituire Donna a Madre, e vedrete che la riflessione rimarrà altrettanto valida. L’immagine del femminile è come un foglio di carta: senza spessore, può mostrare solo due facce che corrispondono alla santa e alla puttana. La donna è la depositaria di valori positivi, l’oggetto destinale attraverso il quale può avvenire la procreazione, l’incarnazione della fedeltà all’uomo e dell’abnegazione verso il prossimo, che giunge anche all’estrema negazione dell’identità, perché essa si è costruita interamente sul sacrificio per l’altro e non sul valore della persona che si è. Nella maggior parte dei casi, la donna è percepita come mera fisicità, e anche al centro dei dibattiti femministi il posto d’onore spetta al corpo mercificato, strumento di promozione anche di un dentifricio, che poco, credo, ha a che fare con lo splendore dello smalto dentinale. Questa immagine è una costruzione culturale che permane ancora oggi, in un ciclico gender backlash che ci fa regredire allo stato precedente, dandoci solo qualche soddisfazione passeggera.

Cosa accadrebbe se i ruoli fossero invertiti? Quale sarebbe la reazione del pubblico se a una donna venissero attribuiti atteggiamenti tipicamente maschili? Abbiamo la risposta grazie alla performance di Sookie Stackhouse nel settimo episodio della stagione di True Blood in corso, In the evening. Alla fine della puntata precedente, Don’t you feel me, Sookie dona il proprio corpo a Warlow dopo aver pronunciato queste parole: “In città c’è una opinione generalizzata su che razza di ragazza sono. Mi chiamano troietta amante del pericolo. Vedi, sto iniziando a pensare che hanno ragione”, e l’espressione dipinta sul suo viso è emblematica: è disperata, hopeless quasi. Il nucleo di ideali e speranze della serie, colei che ha abbracciato la natura vampirica per amore – twice –, decide che non vale più la pena lottare. Nella mente di Sookie, finora proiettata nel vissero felici e contenti, si fa strada la rassegnazione, anche se il desiderio di essere amati non può essere debellato con altrettanta facilità, il per sempre è un’esigenza psicologica tatuata in modo indelebile nel nostro DNA, e non solo a causa dell’happy ending disneyano.

I ruoli tra maschile e femminile, qui, sono invertiti: è Sookie a prendere le distanze, a fare del proprio cinismo una corazza per proteggere i propri sentimenti, mentre Warlow è il depositario delle illusioni. “Non è che pensi che, solo perché abbiamo fatto sesso, ti sposerò? […] Non sei mai stato con una donna, quando le cose tra voi non andavano bene?” “Sai che questo non è stato solo sesso“, dice Warlow. “Non è una semplice infatuazione.” Sookie risponde: No, non lo è mai. E, dietro quell’ironia spenta, possiamo scorgere un fondo di verità, perché anche per Sookie è difficile separare il piacere fisico dall’amore che sembra sempre scivolarle via dalle mani. L’opinione generale del fandom sulla signorina fatata non ha mai oltrepassato l’indimenticabile definizione di Pam, nella quarta stagione: “I am so over Sookie and her precious fairy vagina and her unbelievably stupid name!” Sookie altro non è che la trasformazione da santa (prima era squisitamente vergine) a puttana nell’immaginario comune, sebbene, a pensarci, ha avuto solo tre uomini nella sua vita. Abbastanza, secondo voi? E cosa impedisce al pubblico di applicare le stesse categorie di giudizio della fiction (sia telefilmica che letteraria) anche alle persone normali?

Contrassegnato da tag , , , , , , , , , , ,